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Leopoldo
Trieste, grandissimo attore calabrese e volto
amato dal grande regista Federico Fellini al punto da avere recitato
nella maggior parte dei film del Maestro, dopo aver conosciuto Nick ed avere
visitato le meraviglie del MuSaBa ha
esclamato: “Come avrei voluto che
Federico fosse ancora vivo! Lo avrei portato qui e lui avrebbe amato tantissimo
questo luogo!”. Anch’io, appressandomi
a fornire un breve racconto di quanto ho avuto il sublime piacere di vedere e
vivere Sabato 7 luglio 2012 dalle 17 fino
a notte inoltrata, porto dentro un’invincibile nostalgia ed un
sentimento di frustrazione nella descrizione perché avrei voluto che tutti gli
amanti dell’arte e del bello e le persone dotate di sensibilità e cultura si
unissero ai già tanti presenti in quell’incantevole cornice del Musaba per
esperire esteticamente gli straordinari eventi che si sono susseguiti in quell’
occasione unica. Il luogo – già magico ed ipnoticamente attraente in condizioni
normali – ha letteralmente preso vita, palesando il suo “Genius Loci” che
poteva essere percepito ed inteso essendo emanato da ciascun metro quadrato dei
suoi sette, preziosi e significativi, ettari di estensione. È
proprio vero: sembrava di essere caduti in una dimensione spazio-temporale
diversa, come accadeva, appunto, assistendo
ai più visionari dei film di Fellini dove tutto poteva accadere.
L’illuminata regia di Hiske Maas e Nick Spatari è riuscita infatti a replicare
il miracolo che avviene nelle epiche e commuoventi opere del Maestro Spatari:
come in un caleidoscopico e straordinario mosaico, infatti, le Street
Performances tra le opere del Parco MUSABA (definite MUSABusking ), hanno consacrato,
artisticamente parlando, la nuova ala del Museo. Con l’aiuto di uno staff di giovani e
talentuosi amici artisti – sono stati “celebrati” una serie di riti in cui le
immagini, i suoni, i colori, i corpi, i gesti e le danze , il fuoco ed i cibi,
hanno onorato la Madre Terra e il Dio della Creazione (comune a tutti i
credi religiosi) regalando ai presenti momenti e sensazioni indimenticabili.
Cercando di raccontare l’evento tenendo conto di un necessario ordine cronologico (anche se il tempo sembrava dilatarsi o restringersi in modo inconsueto a seconda delle occasioni), bisogna fare cenno delle tante Street Performaces succedutesi all’inaugurazione della nuova ala del Parco Museo. La prima performance, appena fuori dalla nuova ala del Museo l’hanno offerta due performer donne che, accompagnate dal sottofondo musicale di un bravissimo sassofonista, hanno creato un’opera di body art. Utilizzando un grande foglio bianco, ai cui lati erano posti diversi piatti contenenti colori naturali, dei pennelli con cui coloravano i loro corpi, ed i loro corpi come pennelli viventi, hanno dato vita ad un’astratta e coloratissima composizione interpretando diverse scene con movimenti di danza e momenti di recitazione. Come ogni performance artistica, la dimensione del tempo, la presenza del pubblico e la sua interazione (con diversi commenti ed atteggiamenti) hanno giocato un ruolo decisivo. Il significato che è sembrato evidente trarre dalla visione delle varie scene, è stata la rappresentazione delle varie pulsioni umane mitigate o esasperate dal contatto diretto con gli elementi della natura che riportava il soggetto umano alla sua effettiva proporzione rispetto alla grandezza prevaricante di quelle naturali: solo l’offerta del colore e della creatività che da esso scaturisce può riacquistare il senso del sacro che c’è nel rapporto tra uomo e natura e pacificare gli elementi riportando armonia nel creato.
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In vari e strategici punti del Parco, intanto, già si erano sistemati gli artisti – musicisti che hanno offerto il percorso sonoro della manifestazione. Fra questi citiamo i sorprendenti Marco Magrelli, Maria Lina Strancati, Massimo Tirino, Maria Todaro e Lorenzo Aristodemo che hanno deliziato gli astanti con straordinarie Jeam Session condite da danze e poemi gestuali. Notevole è stata quella ospitata nel cortile del Chiostro conventuale in cui Lorenzo Aristodemo , accompagnandosi con tre diversi Didgeridoo (antico strumento – in essenza di Eucalipto o bambù - ad ancia labiale degli australiani aborigeni) di diversa lunghezza, ha fatto ascoltare dei suoni che comportavano variazioni timbriche e tecniche esecutive notevoli. La suggestiva cornice, la danza contestuale e l’accompagnamento delle percussioni ha sublimato l’arcaico suono offrendo uno spettacolo indimenticabile.
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Poco più distante
un artista ha mirabilmente modellato nell’argilla un monumentale corpo
dormiente con il sottofondo di un trio formato da chitarra, basso elettrico e
percussioni.
La successiva
tappa alla sala attigua alla Chiesa di Santa Barbara (ospitante il capolavoro
di Nick Spatari “Il Sogno di Giacobbe”),
ha condotto il pubblico alla fruizione di due altri due interventi presenti
nella scaletta: la relazione del sottoscritto e la proiezione del film documentario
“Futuro Arcaico” di Michele D’Ignazio e Lorenzo Aristodemo.
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Per quel che riguarda l’intervento del
sottoscritto, fortemente voluto da Nick ed Hiske, vale la pena precisare che
nelle locandine d’invito era stato presentato come “Impressioni dell’Arch.
Cosimo Griffo”: l’onore accordato allo scrivente di portare a termine tale
arduo compito, non ha mancato di procurare viva preoccupazione data la qualità
e l’autorevolezza di quanti prima e meglio del sottoscritto e avevano assolto egregiamente
al ruolo di parlare dell’opera di Spatari. Le strategie adottate per superare
un iniziale imbarazzo e la sensazione di inadeguatezza (non è facile dire cose
interessanti su qualcosa che i nostri occhi riescono a cogliere nell’immediatezza,
senza bisogno di commento, come oggetti di rara bellezza), sono state due. La
prima era quella di riportare la sintesi dei reportage fatti nei blog dei miei
alunni in occasione della prima vista al MuSaBa: tale espediente mi avrebbe consentito di
documentare come la Calabria del futuro sta tutta dalla parte di Spatari, dal
momento che tutti hanno riportato entusiastici commenti e considerazioni di
altissimo profilo e valore simbolico su
quanto avevano visto e fatto al MuSaBa.
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Mi sembrava importante anteporre le loro considerazioni a quelle personali convinto e conquistato dalle parole di Marcel Proust che affermano: “…Viaggiare non significa conoscere nuovi posti, ma vedere con occhi nuovi”:: gli entusiastici commenti dei ragazzi sull’opera di Spatari mi sono sembrati appunto quegli occhi nuovi che risarciscono Hiske e Nick di tutte le difficoltà e le bassezze che hanno dovuto sopportare per arrivare fin qui. Un problema tecnico non ha consentito di vedere le slide preparate ed all’inconveniente ha dovuto sopperire una spiegazione del sottoscritto contenuta nel più breve tempo possibile.
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Mi sembrava importante anteporre le loro considerazioni a quelle personali convinto e conquistato dalle parole di Marcel Proust che affermano: “…Viaggiare non significa conoscere nuovi posti, ma vedere con occhi nuovi”:: gli entusiastici commenti dei ragazzi sull’opera di Spatari mi sono sembrati appunto quegli occhi nuovi che risarciscono Hiske e Nick di tutte le difficoltà e le bassezze che hanno dovuto sopportare per arrivare fin qui. Un problema tecnico non ha consentito di vedere le slide preparate ed all’inconveniente ha dovuto sopperire una spiegazione del sottoscritto contenuta nel più breve tempo possibile.
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La seconda strategia, dettata dall’esigenza di non parlare a lungo
per non annoiare i presenti, e per contenere il fiume di parole che avrei
rischiato di riversare sui poveri uditori, è stata quella di trasformare
l’intervento in una vera e propria performance in tema con il clima di
creatività che stavo assaporando. Rischiando il tutto per tutto ho deciso di
condensare l’intervento in un componimento in versi (per la maggior parte endecasillabi) a rime
alternate: ne è venuta fuori un’ode all’opera di Nick e Hiske dal titolo “Ab
Urbe condita … da gente asittita” (allegata alla presente), nella quale è
tracciata una sorta di summa di tutti gli interessi e le imprese del Nostro. Non avendo mai sperimentato prima tale
approccio, e non essendo un poeta per professione e vocazione, ho inteso questo
gesto come un doveroso omaggio creativo fatto con l’atteggiamento generoso ed un
poco incosciente di chi si presenta nudo davanti ai propri interlocutori (come
le brave performer della body art cui
avevo assistito poco prima).Strano a dirsi l’operazione sembra aver avuto
successo a giudicare dal gradimento del pubblico e dei lusinghieri
apprezzamenti ricevuti in seguito (probabilmente dovuti alla gratitudine per la
brevità dell’intervento!). Per risarcire i lettori delle “impressioni dell’architetto” promesse sull’invito dirò, in calce alla presente, quello che la visione della Rosa dei Venti ha suscitato al mio spirito critico.
Lo
splendido documentario "Futuro Arcaico" (il cui titolo è mutuato da una definizione
dell’opera di Spatari data da Bruno Zevi), si presenta nella sua sinossi come: “Un mosaico di immagini in cui Hiske Maas
incastra i tasselli che descrivono il
MUSABA e Nik Spatari ci mette i colori. Una
visione che contempla ed esalta l'immensità degli spazi, dove luce, forme e colori, sia terrestri sia astrali,
sono parte di un'architettura materiale ed eterea, bagnati dal nucleo dello
spettro solare. Luci e colori esplodono e si urtano, dando un’apertura
tridimensionale di un tutto, l’essenza, l’energia della vita e dell’attrazione
spirituale, che invade gli esseri e le cose che ci circondano da qui
all’eternità”. Tali ambiziosi obiettivi possono dirsi realizzati nelle
immagini del film documentario che sono riuscite nell’intento di cogliere con
bellezza e naturalezza la straordinaria personalità e l’inimitabile work in
progress del MuSaBa.. Chiunque conosca Nick ed Hiske non può non riconoscere
nel montaggio, nei testi e nelle sequenze filmiche e sonore la disarmante
semplicità con cui i due artisti raccontano la storia di un’impresa immane e
bellissima.
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Dalle ventuno in poi l’aperitivo ed il seguente buffet offerto nella sala e nel chiostro ultra colorato della Foresteria – piacevolmente accompagnato dal sottofondo musicale di una cantante dal suadente e bellissimo timbro vocale - ha offerto ai presenti un vario ed abbondante assaggio delle tante prelibatezze locali e di raffinate preparazioni esotiche curate dallo stesso Nick (notevole il riso alla spagnola con stocco, mandorle, uvetta ed arance). La parentesi della ristorazione ha lasciato lo spazio finale ad un fuoriprogramma etnico assai suggestivo e coinvolgente: un’ultima Jeam Session in cui tutti gli artisti hanno dato il meglio di se fino a notte fonda ( circa le due).
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Anche una splendida Luna si è affacciata ed è rimasta a lungo sospesa sul tetto della Chiesa soprastante l’acrocoro ed una leggera brezza fresca ha premiato i presenti alla fine di una calda giornata. L’Ombra della Sera, benevola presenza gigantesca e nume tutelare del MuSaBa ha continuato benevolmente a vegliare sul sonno degli ospiti che si sono trattenuti nella foresteria (le cui camere sono delle vere e proprie opere d’arte).
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Cosa ho sognato? L’incanto di una splendida giornata, trascorsa con persone speciali nella già magica cornice del MuSaBa che diventa mozzafiato quando la notte cala e la luce delle stelle, non disturbata da inquinamento luminoso, penetra dalla cima degli alberi e si mescola alla natura stessa dei colori.
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Critica architettonica del nuovo edificio della “Rosa dei Venti”
Come promesso precedentemente, occorre, in conclusione, dire dell’impressione suscitata al sottoscritto dal nuovo edificio detto “Rosa dei Venti”. La sua volumetria si presenta come un etereo involucro di pianta esagonale, le cui superfici murarie vibrano cromaticamente virando dal colore bianco grigio a quello paglierino bronzato della pietra locale in contrasto dicotomico con gli accesi colori complementari degli spigoli dei cantonali, della decorazione delle finestre e dell’articolata copertura. La sapiente alternanza dei vuoti di diversa forma e dimensione è conferita all’insieme dalle finestre impreziosite alla maniera Le Corbusierana, tanto familiare a Nick, da Brise-soleil che però sposano la genialità creativa di Gaudì essendo rivestiti da colorate mattonelle. L’impressione di trovarsi di fronte ad un edificio del grande architetto Catalano è accentuata dalla rampa di dolce pendenza che dall’esterno collega i due livelli dell’edificio: mitico percorso avvolgente, scandito da oggetti d’arte e da un pinnacolo colorato che ricorda uno scorcio del Parco Guell di Barcellona.La copertura della solida rampa è colorata al pari del tetto dell’edificio e gli esili pilastrini che la sorreggono formano delle sequenze di cornici che inquadrano il verde paesaggio sullo sfondo e l’azzurrissimo cielo. L’edificio è funzionalmente strutturato su due livelli in cui predomina l’open space: nel livello terreno troviamo la grande sala espositiva che ospita una retrospettiva pittorica dI Nick Spatari (attualmente sono oggetto di esposizione le opere del cosiddetto Dinamismo Etnico-Mitologico). Nel pavimento troviamo uno straordinario mosaico che riproduce, in grandi proporzioni, la dea Persefone (raffigurata con il volto di Hiske, fortunata musa ispiratrice di Nick). Raggiungendo il secondo livello per il tramite d’una suggestiva scala, proviamo lo stupore della visione della seconda sala: la copertura a volte lignee con le caratteristiche vele triangolari incrociate (che all’esterno forma la coloratissima “Rosa dei Venti”), è forata da lucernai rettangolari che filtrano fasci di spirituale luce colorata.
Questi originali spot creano una sorta di vortice cromatico che illumina una precisa parte del pavimento: un foro quadrato nel solaio, incorniciato da un elegantissimo mosaico di due uccelli, al cui centro c’è una teca in cristallo. Nella teca sono state disposte, in modo apparentemente casuale, una serie di conchiglie di varia forma e dimensione: è una precisa citazione in immagine delle conchiglie con cui Spatari componeva i corpi ed i volti di donna nelle sue fasi pittoriche del cosiddetto Dinamismo Fantastico e Dinamismo Totemico. La sequenza è troppo ben calcolata per non renderci in grado di trarne un significato apparente: Il centro del mondo di Nick, del suo orientamento e della sua identificazione coincide con il centro della Rosa dei Venti e dunque col punto più alto dell’acrocoro di Santa Barbara (luogo simbolico del suo paese natale).
In questo punto ben preciso dell’universo il tempo e lo spazio s’incontrano ed il cielo sposa la terra coi suoi raggi di luce colorata: l’evento trasfigura i confini fisici annullando la materia (il pavimento scompare), la trasparenza del cristallo filtra la luce e la mescola con l’eterna essenza della natura (le conchiglie) che, ancora una volta, fanno apparire il volto di Hiske, l’amata. Tutta la meraviglia e lo stupore che l’abitare questo luogo emana condensa tutto ciò in cui l’essere duale Nick ed Hiske crede: l’amore, la creatività, la solarità, il colore e la luce.
La sala è infatti dominata dallo straordinario pannello tridimensionale “Nick Hiske e Musaba” (tecnica mista su multistrato dalle dimensioni ragguardevoli di 600 x 300 cm) che racconta esemplarmente, in immagini e simboli, la storia di un uomo, di una donna e di un luogo e della circolarità dell’amore che lega questi tre elementi fatti di “natura cristallina” come Spatari usa dire dei corpi cosmici. Non stupisce il fatto che Nick e Hiske abbiano scelto di spostare la loro abituale dimora in questo straordinario edificio: è un luogo “parlante” in cui ciascuna pietra, ciascun legno, pezzo di vetro, ceramica e laterizio sussurra (ed a volte anzi urla) la storia di un amore che supererà i confini del tempo e dello spazio. I novelli amanti dei nostri giorni dovrebbero recarsi in pellegrinaggio in questo luogo che spiega l’amore infinitamente meglio del triste ed anonimo balcone di Verona in cui si crede ambientata la scena del dialogo sceakspiriano di Giulietta e Romeo.
Il progetto architettonico del MuSaBa prosegue dunque con la pervicacia e la determinazione di Hiske Maas e Nick Spatari contro tutto e tutti, contro una burocrazia buona sola a porre ostacoli sul loro cammino, politici sordi alle attese dello sviluppo culturale dei nostri luoghi ed istituzioni culturali troppo schierate per accogliere con benevolenza i coraggiosi progetti degli outsider. La stella polare che guida le intenzioni progettuali è sempre quella che informava il disegno originario che vasta eco ebbe su riviste internazionali di settore e soprattutto su “L’Architettura” magistralmente diretta da prof. Bruno Zevi. Quest’ultimo, recensendo il progetto , ebbe a scrivere: “… è un Museo Scuola Laboratorio unico nel suo genere in Italia sormontato da un levitante involucro di vetro rame e legno, assomiglia ad una montagna che si muove che vola come un uccello sugli strapiombi dell’acrocoro e sul fiume Torbido. ..” Ed il tetto della Rosa dei Venti simula davvero lo spiegarsi ed il contrarsi nervoso delle ali di un uccello che sorvola dall’alto la fiumara: probabilmente quello stesso uccello che in mirabili frammenti triangolari e variopinti prende forma e vita nel mosaico della sala sopraelevata al cui centro insiste il vuoto di cristallo e conchiglie.
Il litostroto antistante alla Rosa dei Venti, mostra profondi solchi che definiscono ampi triangoli col vertice rivolto verso l’edificio (come dei grandi raggi che trovano la loro fuga prospettica nella struttura del “Concetto Universale” (simbolo e logo del MuSaBa) che si protende verso il cielo: quasi una sorta di pista di decollo per le destinazioni astrali suggerite dall’inclinazione della colorata struttura (immagine molto opportunamente ed abilmente colta e rappresentata nel film documentario “Futuro Arcaico” proiettato in anteprima nella serata dell’inaugurazione alla presenza degli autori Michele D’Ignazio e Lorenzo Aristodemo.
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